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Appunti sparsi. Della Musica come linguaggio universale (I parte)


L'idea che la "Musica" sia un linguaggio universale è stata a lungo condivisa (e probabilmente lo è ancora) da pubblico e gran parte degli addetti ai lavori, almeno in Occidente.

Quando frequentavo il Conservatorio a Palermo, il mio insegnante di flauto sosteneva che, a differenza del linguaggio parlato, attraverso il quale è possibile comunicare con un'altra persona solo se con questa si condivide la conoscenza dello stesso idioma, quello musicale possa essere utilizzato da tutti gli esseri umani del pianeta allo stesso modo abbattendo così ogni barriera di comprensione e comunicazione.

L'argomentazione di tale assunto era basata sulla costatazione che:

a) Un testo scritto in italiano, ad esempio, risulta non solo incomprensibile ma anche non correttamente leggibile da una persona che non conosce la lingua italiana (lo stesso vale ovviamente per tutte le altre lingue del mondo).

b) Una partitura musicale può essere decifrata ed eseguita a prescindere dalla nazionalità di chi la interpreta.

Tale convinzione è ancora molto in voga e mi capita spesso di sentirla enunciata.

Ma le cose stanno veramente così?

Un passaggio dell'intervista rilasciata da Ivan Fedele (compositore leccese di formazione eurocolta apprezzato in ambito internazionale) a Susanna Persichilli per la rivista Syrinx(1) recita:

Si parla sempre della relazione tra il linguaggio parlato e il linguaggio musicale; la musica condivide con il linguaggio alcuni aspetti, ma altri - altrettanto importanti, direi quasi radicalmente diversi - non li condivide affatto. Il linguaggio parlato mette in relazione due mondi: il mondo del significato ed il mondo del significante, la parola e l'esperienza. In musica questa relazione tra il mondo dei significanti e il mondo dell'esperienza non c'è: l'intervallo do-mi non rimanda a nessuna esperienza che non sia quella di do-mi. Ecco perché si dice che la musica è autoreferenziale. Il linguaggio non è autoreferenziale; se dico "sedia" faccio riferimento a un'esperienza che suppongo condivisa. Una esperienza di due tipi: linguistica (se lei fosse giapponese non lo capirebbe) e pratica (entrambi abbiamo fatto l'esperienza della sedia).

La musica quindi, a differenza del linguaggio parlato, non sembrerebbe offrire strumenti certi per la sua decifrazione a meno che non ci si riduca a considerare l'evento sonoro in se.

La parola "sedia" si riferisce ad un oggetto che tutti conosciamo e di cui conosciamo anche l'uso, un intervallo tra due suoni ed anche una melodia, invece, non possono ricondurci ad un elemento extramusicale unico ed identificabile, in quanto nessuno si è mai preso la briga di creare un vocabolario con dei "lemmi musicali" riferiti e riferibili ad oggetti specifici della realtà fisico/sensibile.

Tale vocabolario non esiste in senso assoluto(2) perché il linguaggio musicale, oltre ad essere (spesso e/o in parte, vedremo poi perché) autoreferenziale, fa riferimento ad ambiti di difficile definizione. Tra questi mi vengono in mente quello estetico (legato unicamente al piacere che una data melodia, armonia, composizione producono o possono produrre sull'ascoltatore), quello emotivo (l'uso di determinate armonie ad esempio è legato, nel "sentire comune", a stati d'animo gioiosi o tristi e così via), quello mistico (l'uso di alcuni modi o la solennità di determinati andamenti ritmici può rinviarci a idee di perfezione o di "gloria celeste"), ma se ne potrebbero citare molti altri.

Da ciò, però, possiamo ricavare il fatto che, sebbene un determinato intervallo o una definita sequenza di suoni non possa essere riferita ad un oggetto fisico specifico quale la sedia di cui sopra, in verità a livello collettivo esiste una qualche forma di condivisione dell'esperienza in grado di definire una qualche relazione tra una determinata melodia/armonia ed uno stato d'animo sperimentato. In tal senso, l'affermazione di Ivan Fedele appare veritiera solo in determinati ambiti di esperienza (quella della relazione con gli oggetti fisici ed anche in questo caso si potrebbero trovare delle eccezioni) mentre in altri, quale ad esempio quello legato alle emozioni, parrebbe vacillare.

Quanto detto, comunque, basterebbe a dimostrare che quello della musica non possa essere definito un linguaggio universale (ad esempio, si applichi quanto detto alla cosiddetta "musica a programma").

Potremmo però valutare l'ipotesi che il linguaggio musicale abbia la capacità di mettere in relazione significante e significato quando si occupi di affrontare la sfera dei sentimenti, dato che, come visto poc'anzi, vi sono armonie che rimandano a stati d'animo gioiosi ed altre a quelli tristi. Tali elementi compositivi, inoltre, possono essere acuiti o smorzati dall'uso delle dinamiche, da precise scelte timbriche, tempi veloci o lenti, ritmi sincopati o gravi con accenti forti sul primo movimento... le soluzioni sono innumerevoli... ed in effetti accade che persone di età, Paesi, classi sociali differenti, provino esperienze simili, a livello emotivo, durante l'ascolto di uno stesso brano.

C'è da chiedersi però se tale "condivisione di esperienza" (riprendendo le parole di Fedele) si verifichi per cause oggettive, legate al fatto che esseri simili (in questo caso "esseri umani") abbiano un modo simile di rielaborare i fatti sonori prescindendo dalle sovrastrutture che ogni civiltà e/o comunità crea e sviluppa nel corso della sua storia, o perché, nel tempo, le differenti "comunità umane" abbiano codificato, più o meno consapevolmente, dei sistemi e dei "vocabolari emozional/sonori" differenti da popolazione a popolazione ma comuni ai membri che le compongono; in quest'ultimo caso la "condivisione di esperienza" sarebbe determinata dall'appertenenza ad una comunità specifica, più o meno ampia, che usi il medesimo "vocabolario emozional/sonoro". (continua...)

Note:

(1) Syrinx n. 63 gennaio/marzo 2005.

(2) Alcune culture extra europee, ad esempio, hanno legato precisi significati simbolici ad alcuni suoni ponendoli in relazione con l'armonia del Cosmo, tale legame però è riconducibile all'ambiente culturale che lo ha prodotto ed in tal senso non ha valenza linguistica universale. Lo stesso dicasi per i significati simbolici legati ai suoni, codificati dai compositori eurocolti nel corso dei secoli.

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